Diritto alla salute e innovazione
Il diritto alla salute è da oltre 40 anni un tema fondamentale per Cittadinanzattiva, fino dalle origini della rete del Tribunale per i diritti del malato, basata sul concetto di intervenire ‘perché ciò che viene segnalato non succeda ad altri’. L’evoluzione successiva è stata quella delle politiche sanitarie, a partire dalla rilevazione dei bisogni di salute per costruire partecipazione, collaborazione con le istituzioni, proposte e monitoraggio dei servizi sanitari negli ospedali e nei territori.
Oggi, dopo due anni di emergenza pandemica, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il PNRR , rappresenta una occasione per cambiare e potenziare il nostro sistema sanitario.
Si parla di innovazione, ma l’innovazione non può prescindere dalla soluzione dei problemi non risolti della sanità del passato, le liste di attesa, la mancata attuazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), il recupero delle prestazioni sanitarie (di cura, di diagnosi, di prevenzione) non effettuate per l’emergenza COVID-19.
Per la costruzione di una sanità del futuro, Cittadinanzattiva vuole essere propositiva anche sui territori, per essere un interlocutore affidabile delle istituzioni nella nostra regione, a partire dalla tutela dell’ambiente e dall’educazione alle buon pratiche, anche coinvolgendo il mondo della scuola, continuando con la prevenzione, largamente trascurata in questi due anni di pandemia, con le cure il più possibile da garantire sul territorio e integrate con le strutture di ricovero, fino a tutti gli aspetti sociali e sociosanitari, sempre più pressanti e da garantire compiutamente in questa epoca storica, dove dilaga il fenomeno delle diseguaglianze e le situazioni di disagio sono particolarmente accentuate nel mondo giovanile e per la precarietà del lavoro.
La nuova normalità: che non può prescindere dagli interventi sui vecchi problemi.
Quindi l’innovazione. Quando se ne parla, si pensa a nuove tecnologie, a nuovi strumenti e nuove apparecchiature. Tutto questo è vero. Ma se ciò non si traduce in nuovi servizi per i cittadini, l’innovazione rischia di restare un concetto vuoto.
Uno dei principali obiettivi è della Missione 6 del PNRR è la realizzazione delle case di comunità, che deve essere compiuta entro il 30 giugno 2026 per non perdere i contributi previsti. Ma: noi costruiremo i contenitori, ristruttureremo edifici, poi però li dovremo attrezzare e abitare. Sappiamo già che le risorse umane e professionali, già gravemente carenti per scelte sbagliate del passato e sottofinanziamento del sistema sanitario, saranno un problema di difficile soluzione nella realizzazione di una sanità realmente fruibile. Dovrà rapidamente essere deciso che cosa dovrà essere fatto nelle nuove strutture e da chi: in Toscana siamo in qualche misura avvantaggiati per avere istituito già da circa un decennio le case della salute, anche se la loro rete non è stata attuata in un modo omogeneo sul territorio regionale e il cui funzionamento ha alcune eccellenze (vedi le esperienze delle Piagge a Firenze e della casa della salute di Querceta – clicca il link al video ). Il futuro inquadramento giuridico dei medici di medicina generale , dei pediatri di libera scelta organizzati nelle AFT (Aggregazioni funzionali territoriali), il ricorso alle nuove figure degli infermieri di famiglia e di comunità, alle farmacie dei servizi, dovranno essere indirizzati al prossimo implementamento della sanità territoriale. In tutto questo percorso i cittadini, i futuri utenti della nuova sanità, già utenti della attuale sanità, devono potere dire la loro. Cittadinanzattiva Toscana si fa e si farà carico di contribuire a mapparne i bisogni.
La Toscana si è dotata con la Legge Regionale 75/2017 di un modello strutturato di partecipazione in sanità a cui noi ci facciamo vanto di partecipare. Il modello purtroppo funziona a singhiozzo e a macchia di leopardo, per vari motivi: da un lato non a tutti è chiaro come interloquire con i diversi livelli di governo, regionale, aziendale, zonale, della sanità toscana, da un altro non vi è sufficiente attenzione da parte di chi governa il Servizio Sanitario Regionale (SSR) nel favorire la partecipazione, e infine un vulnus nella funzionalità del sistema partecipativo sta nell’avere escluso dalla sua costruzione la risorsa più essenziale, la componente umana, professionale, di chi nel SSR lavora, che spesso neppure sa che esiste la partecipazione.
Quindi manca una componente del dialogo, della comunicazione: un altro punto critico, che mina la fruizione del servizio sanitario, quindi lede i diritti degli utenti, dei cittadini.
Punto critico è l’accesso, l’interfaccia tra cittadini e professionisti, e di tutti con il sistema. Mancata condivisione dei dati, applicazioni informatiche create senza tenere conto del punto di vista dell’utenza, medici che considerano essere eccessi burocratici il doversi adeguare a come si dovrebbe lavorare nel 2022, non rendendosi sempre conto di quanto l’informatica e le tecnologie possano essere importanti, se utilizzate propriamente. Se c’è voluto il COVID-19 per ottenere via email o sms le ricette dei farmaci o le richieste di esami, evitando peregrinazioni e code negli studi medici, allora qualcosa si può fare. La privacy, ostacolo allo scambio di informazioni e dati tra medici, tra ospedali, tra regioni diverse, tra sanità pubblica e privata, tra sociale e sanitario, rappresenta un danno maggiore proprio per quel cittadino che si ritiene di tutelare.
Allora l’innovazione: di organizzazione, regole e normative prima che di tecnologie? Si parla di pazienti esperti, certamente esperti e involontarie vittime di inefficienze e superficialità nella gestione del ‘sistema’ sanitario, che dovrebbe essere a tutti gli effetti ‘IL SERVIZIO’ sanitario.
Su questo Cittadinanzattiva vuole vigilare, non come controparte ma come compartecipe di chi deve garantire il diritto alla salute.
Crediamo necessario infine superare il problema della medicina difensiva attraverso lo studio e l’implementazione di nuovi modelli relazionali che, con il supporto della tecnologia, possono consentire una reale presa in carico del paziente e migliorare la qualità di vita dei cittadini, ma anche dei professionisti sanitari.
Un nuovo modello culturale, che coinvolga anche la formazione dei medici, i cui elementi indispensabili siano il protagonismo di tutti, una cultura etica della responsabilità e della presa in carico (o meglio, in cura), la creazione di un nuovo clima di fiducia.
Per approfondire sulle case di comunità: