Diritti dei CittadiniIn EvidenzaNotizie

Comunicati stampa di Cittadinanzattiva nazionale

Presentato il XX Osservatorio nazionale di Cittadinanzattiva sulla sicurezza delle scuole. 45 crolli nello scorso anno scolastico, certificazioni assenti in una scuola su due (14 settembre 2022)

Un patrimonio edilizio scolastico vecchio e malconcio, visto che più del 40% delle scuole è stato costruito prima del 1976 e oltre la metà è privo delle certificazioni di agibilità statica e di prevenzione incendi. 45 i casi di crollo registrati negli istituti di vario ordine e grado fra settembre 2021 e agosto 2022, circa un episodio ogni quattro giorni di scuola.

Gli istituti secondari di secondo grado mostrano più degli altri le crepe dovute all’età, ai ritardi e ad una lunga interruzione nell’assegnazione dei fondi alle Province – enti depauperati di risorse anche tecniche e professionali -, all’irrisolto problema delle classi sovraffollate (circa l’8% del totale, ossia 9.974 classi delle superiori nel 2020-21 con più di 26 studenti).

Sono alcuni dei dati che emergono dal XX Rapporto “Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola” presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva. Il Rapporto nasce nell’ambito della campagna Impararesicuri, alla sua ventesima edizione, che prese avvio nel 2002 dopo il crollo della scuola Iovine di San Giuliano di Puglia, in Molise.

A partire dal 2015 i Governi hanno investito in maniera importante sull’edilizia scolastica del nostro Paese. Ora grazie al PNRR arrivano ulteriori importanti fondi, 12,6 mld di euro, per l’ammodernamento e la messa in sicurezza di molti istituti, per la costruzione di nuove scuole (ancora poche), di ambienti digitali, di mense, di palestre e di servizi 0-6. Ad eccezione dei nidi, le richieste degli Enti locali sono state di gran lunga superiori alle disponibilità offerte dal PNRR. Rispetto, per esempio ai 216 nuovi edifici scolastici le richieste sono state 543, più del doppio; 444 le palestre ammesse a finanziamento su 2.859 richieste, 1000 le mense su 1.088 richieste. Nonostante i fondi del PNRR, permangono numerose criticità, come mostrano i numeri di questo Rapporto, a cui speriamo il Governo che verrà voglia dare risposte certe e rapide”, dichiara Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva. “Chiediamo un impegno importante alle forze politiche affinché diano continuità agli stanziamenti per l’edilizia scolastica, oltre il PNRR, per garantire la manutenzione ordinaria e straordinaria delle scuole e per investire sulla salute a partire dalla qualità dell’aria nelle aule, programmando interventi specifici per sistemi di aerazione e ventilazione; contrastino la povertà economica ed educativa, garantendo nelle scuole primarie il tempo pieno e la mensa scolastica come servizio universale e gratuito, estendendo l’offerta e la gratuità degli asili nido soprattutto per le fasce sociali più deboli”.

I dati del Rapporto

Il 42% delle nostre scuole, ossia 16.794, è stato costruito prima del 1976, per circa un ulteriore quarto non si conosce invece la data di costruzione.  Ben oltre la metà delle scuole non è in possesso del certificato di agibilità statica (assente per quasi il 58% degli istituti), né quello di prevenzione incendi (circa il 55%). Oltre il 40% è privo del collaudo statico. Le regioni che presentano una percentuale più alta di scuole che possiedono la certificazione di prevenzione incendi sono la Valle d’Aosta (51,74%), l’Emilia Romagna (49,50%), l’Umbria (47,80%), il Molise (47, 05%). Tra le regioni con le percentuali più basse: Lazio (12,21%, Calabria (18,75%), Sardegna (22,81%).

Quanto al documento di valutazione rischi, ne è in possesso il 77% delle scuole: tra le regioni più virtuose le Marche – 90,2% – seguita da Veneto, Umbria, Toscana, Sicilia, Lombardia con percentuali oltre l’80%; l’Abruzzo è la Regione con la percentuale più bassa di edifici in possesso del DVR (33%). Il Piano di emergenza è stato redatto dal 79% delle scuole: tra le regioni più virtuose sempre al primo posto le Marche (91,08%), seguita da Veneto (88%), Toscana (86%), Umbria (85%), Lombardia (83%), Basilicata (80%). La regione con le percentuali più basse anche per questo adempimento risulta essere l’Abruzzo (34%).

Ed è sempre emergenza crolli. Tra settembre 2021 e agosto 2022 Cittadinanzattiva ne ha contati (attraverso la rassegna stampa) 45 di cui 16 nelle regioni del Sud e nelle Isole (Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna), 19 nel Nord (Lombardia, Piemonte, Liguria, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna), 10 nelle regioni del Centro (Toscana, Lazio). Tali episodi hanno provocato il ferimento di alcune persone oltre che danni agli ambienti e agli arredi, interruzione della didattica, provocando ingenti disagi agli studenti e alle loro famiglie. Si è trattato fortunatamente di crolli avvenuti di notte, nel week end o in periodi di chiusura delle scuole.

Rischio terremoto. Sono 11 le regioni che hanno Comuni in zona 1, ossia ad elevato rischio sismico, ma tutte, ad eccezione della Sardegna, hanno Comuni e scuole in zona 2 (rischio medio-elevato). 4 milioni e 300.000 i bambini ed i ragazzi che risiedono in queste due zone. Eppure gli edifici migliorati e adeguati sismicamente sono soltanto il 2%, mentre quelli progettati secondo la normativa antisismica sono 2.740, il 7% del totale. I risultati migliori si riferiscono a Friuli Venezia Giulia (28%), Umbria (23%), Marche (17%), Molise e Toscana (12%), Veneto (10%). Tra le Regioni meno virtuose: Campania (1%), Lazio (2%), Liguria e Lombardia (3%). Rispetto, poi, alle prove di evacuazione, obbligatorie almeno due volte l’anno, nel 2020-2021 sono state effettuate in poco più della metà delle scuole (56%), non sono state effettuate nel 33% o solo alcune classi nell’11%. E quando vengono effettuate riguardano quasi esclusivamente il rischio Incendio (99%), e quello sismico (77%).

Focus sulle scuole superiori: vecchi e malconci e con aule sovraffollate.

Nell’anno scolastico 2021-2022 gli studenti iscritti agli istituti secondari di II grado sono stati 2.661.856 pari al 36% del totale degli studenti, ospitati in 7.143 edifici scolastici (18% del totale) di competenza delle Province e delle Città Metropolitane. Per il 31% degli edifici non è stato indicato il periodo di costruzione; rispetto al restante 69%, oltre il 52% è stato costruito prima del 1976.

Ben oltre la metà degli edifici non ha né agibilità (67% vs 58% del resto delle scuole), mentre il 47,5% (rispetto al 41,4% del totale delle scuole) non ha la prevenzione incendi. In merito alla sicurezza dal punto di vista sismico, la situazione degli istituti superiori è grave quanto quella delle altre scuole: soltanto l’1% è stato migliorato o adeguato sismicamente, il 9% è stato progettato secondo la normativa antisismica. Così pure dal punto di vista della sicurezza interna: riguardo al possesso del Documento di valutazione rischi il dato delle secondarie di II grado è del 76% e quello complessivo del 77%; riguardo al Piano di emergenza, ne è in possesso il 78% delle scuole superiori rispetto al 79% del totale degli edifici.

Dal Dossier di Tuttoscuola risulterebbero 9.974 classi della secondaria di II grado nel 2020-21 con più di 26 studenti, pari all’8% del totale. Sono i Licei Scientifici e non gli Istituti Tecnici ad avere il maggior numero di classi con non meno di 27 studenti. Nei licei scientifici, le classi oltre il limite sono state 3.899, pari al 13%; seguono i Classici (con il 9,4% delle classi in sovrannumero) e gli Istituti Tecnici (7,1%). Al primo anno delle superiori le classi sovraffollate sono il 15% circa del totale mentre nell’ultimo sono state 462 classi (1,9%) con più di 26 studenti. A livello territoriale, il fenomeno interessa soprattutto la Lombardia (2.109 classi in sovrannumero), seguita da Lazio con 1.237, Campania con 1.138, Emilia Romagna con 1.123 e Veneto con 1.073. Tra le Città Metropolitane troviamo Roma con 1961, Napoli 1246, Milano 985, Torino 607, Bari 120; anche in molte province si registrano numeri elevati: Varese con 723 classi, Lecce 257, Prato e Bergamo 535, Reggio Emilia 227, Vicenza e Verona 484, Forlì 273.

Ora parliamo noi. Cosa pensano i ragazzi del Pcto

Tra marzo e giugno 2022, Cittadinanzattiva ha coinvolto circa 2.849 studenti e studentesse della scuola secondaria di II grado per conoscere il loro punto di vista sui PCTO (Percorsi Competenze Trasversali ed Orientamento).  Oltre la metà afferma di non scegliere autonomamente il percorso del PCTO (59%), il 28% può sceglierlo tra una serie di opzioni presentate dall’istituto e l’11,5% dichiara di poterlo proporre personalmente alla scuola. Ben il 36% indica che il luogo in cui è stato svolto è stato a casa (o in dad) e a scuola. A seguire, i luoghi indicati sono: le aziende (27%), gli enti culturali (17%), le istituzioni (Ministeri, Comuni, Asl, etc.). Seguono poi le attività svolte nelle imprese (10%), presso associazioni di volontariato (6%), ordini professionali (5%), associazioni sportive (3%).

Poco più della metà degli studenti (51%) ritiene adeguata la quantità di ore dedicata ai PCTO e al percorso formativo, mentre il 18% afferma che siano poche e il 15% ritiene che siano eccessive.

Non tutti i ragazzi che frequentano la stessa classe sono impegnati nello svolgimento di un PCTO: alcuni compagni (11%) per differenti motivi (ad esempio essendo studenti con disabilità, studenti che abitano in altri Comuni, mancanza di supporti tecnologici) non partecipano a tali percorsi.

Circa il 40% ha sentito parlare della Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza scuola-lavoro ma dichiara di non averla mai letta (40,7%), altri indicano di conoscerla (18,6%), un ulteriore 40% non la conosce affatto. Così pure oltre il 70% non conosce la piattaforma del Ministero dell’Istruzione dedicata ai PCTO per far incontrare domanda/offerta, raccogliere feedback e criticità sui percorsi.

Quanto al gradimento dei percorsi svolti, solo il 16% dice di “non essere soddisfatto del PCTO proposto”. Inoltre per il 39,5% sono stati “abbastanza utili”, per circa il 20% si sono rivelati “poco utili”, per il 17,8% sono stati “utilissimi”, per l’11,7% occorre valutare in base al tipo di percorso realizzato e per l’11,3% i percorsi sono stati “una perdita di tempo”.

10 priorità per la scuola che verrà

Seggi elettorali fuori dalle scuole. Occorre continuare a sostenere anche economicamente i Comuni affinché spostino i seggi elettorali in sedi alternative rispetto alle scuole e sperimentare in maniera diffusa il voto elettronico, come previsto dal Decreto legge 41/2022. Per le ormai vicine elezioni del 25 settembre, si propone alle scuole di non interrompere le attività didattiche a causa dei seggi ma di proseguirle all’esterno.

Innovare gli ambienti di apprendimento. Non solo nelle scuole nuove, ma anche in quelle da ristrutturare attraverso i fondi PNRR, occorre ripensare tutti gli spazi interni ed esterni al fine di creare ambienti di apprendimento innovativi ed inclusivi

Migliorare la qualità dell’aria nelle scuole. Verificare che negli interventi del PNRR in essere siano previste installazioni di sistemi di aerazione/ventilazione; dotare tutte le aule, di strumenti di misurazione del livello di CO2 poco costosi; mappare il reale fabbisogno a seguito di sopralluoghi per poi prevedere investimenti ad hoc.

Mense scolastiche come servizio universale. Avviare un programma graduale che, attraverso l’estensione del tempo pieno e la dotazione di nuove mense resa possibile grazie al PNRR, punti a fare della ristorazione scolastica un servizio universale, attraverso una norma che lo inquadri quale livello essenziale delle prestazioni sociali (LEP), superando la logica di servizio a domanda individuale

Completare ed aggiornare l’Anagrafe dell’edilizia e riprendere le attività dell’Osservatorio. L’Anagrafe deve essere completata e aggiornata in tempo reale, integrata anche dai dati relativi agli asili nido pubblici e resa accessibile a tutti. Allo stesso tempo vanno riconvocati in maniera sistematica e periodica gli incontri dell’Osservatorio nazionale sull’edilizia scolastica.

Puntare su interventi e programmi di sostegno alle genitorialità. Per fare ciò si potrebbero utilizzare i Poli 0-6 e collocare al loro interno i Centri per le    famiglie, oltre a sostenere e potenziare i Consultori già presenti sul territorio così come i progetti del Terzo Settore che si rivolgono alle famiglie più lontane.

Coinvolgere le comunità locali nei progetti del PNRR. Occorre favorire il coinvolgimento di diversi soggetti attorno alla scuola in modo cooperativo come per esempio quando si tratta di costruire o ricostruire una scuola.

Ripensare ai percorsi del PCTO. Occorre che le scuole garantiscano da subito una preparazione adeguata degli studenti circa la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e sugli strumenti a loro tutela; occorre verificare che i soggetti ospitanti rispettino le condizioni previste, anche sottoscrivendo una sorta di Codice Etico; occorre raccogliere criticità e punti di forza delle esperienze realizzate per proporre modifiche condivise di tali percorsi.

Dare spazio e potere agli studenti. È urgente ripensare radicalmente gli organismi e le pratiche di democrazia rappresentativa degli studenti all’interno delle scuole, e favorirne il protagonismo, a partire da un loro coinvolgimento attivo nei programmi di educazione civica, nella riformulazione del PCTO, nella promozione della salute e della sicurezza a scuola.

Attuare procedure e comportamenti per prevenire i rischi. Occorre adottare procedure e comportamenti a scuola, in gran parte sospesi per l’emergenza Covid, affinché tutti siano in grado di fronteggiare eventuali emergenze naturali e non; allo stesso tempo le istituzioni locali devono aggiornare e diffondere i Piani comunali di protezione civile ai cambiamenti climatici.

 

Aderenza terapeutica (13 luglio 2022)

Misurare l’aderenza terapeutica, sviluppando ed implementando un modello standardizzato per personalizzare l’approccio alle cure, restituire dati attendibili legati non solo alla somministrazione dei farmaci ma anche alle abitudini e agli stili di vita dei pazienti. In questo contesto è fondamentale l’alleanza medico-paziente all’interno di una rete strutturata di prestazioni e servizi sui quali il cittadino può far affidamento.

È questo l’obiettivo dell’“Action Plan sull’aderenza terapeutica: dall’analisi regionale ad un piano nazionale” – realizzato da Cittadinanzattiva con associazioni di pazienti, società scientifiche e istituzioni regionali – che raccoglie analisi e proposte per migliorare l’accesso e la qualità di prestazioni e servizi che favoriscono l’aderenza terapeutica.

La centralità del tema è ribadita anche dai dati OSMED 2021: solo il 55% dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa assume il trattamento antipertensivo con continuità. Le stesse percentuali, per i pazienti con osteoporosi, ma si arriva a meno del 45% dei pazienti con diabete di tipo II, al 35% per i pazienti con insufficienza cardiaca, fino al 15% circa dei pazienti con Asma e BPCO. I pazienti più anziani, in alcuni casi, sospendono autonomamente il trattamento farmacologico – senza consultare il MMG o lo specialista – entro i primi sei mesi dalla prescrizione della terapia (è il 70% degli ultra 75enni).

Secondo l’indagine condotta da Cittadinanzattiva sui pazienti con patologia cardiovascolare nel 2021, solo il 30% degli stessi ritiene che il medico (specialista o MMG) abbia dedicato il giusto tempo alla spiegazione del percorso terapeutico e all’importanza della adesione sistematica e costante allo stesso (a fronte del 70% dei medici che dichiara di aver dedicato il giusto tempo e la giusta attenzione alla spiegazione dello stesso).

“L’aderenza alle terapie non significa soltanto assumere i farmaci in modo corretto e per il tempo necessario da parte dei pazienti, ma implica anche la capacità del SSN di individuare e modificare comportamenti e abitudini non salutari dei pazienti, di garantire l’accesso a prestazioni e servizi in tempi certi e adeguati alle necessità di cura dei cittadini, coinvolgendo pazienti e caregiver nel percorso di cura. In questo senso l’aderenza terapeutica è frutto dell’alleanza fra il paziente e tutti i professionisti sanitari che lo hanno preso in carico e che lo accompagnano nelle diverse fasi del processo di cura”, dichiara Valeria Fava, responsabile politiche della salute di Cittadinanzattiva.

Il documento – che nasce a seguito di 8 tavoli regionali (Campania, Emilia Romagna, Liguria, Molise, Puglia, Sicilia, Valle D’Aosta e Veneto) in cui le sedi territoriali di Cittadinanzattiva hanno interagito con i rappresentati istituzionali e con i membri delle società scientifiche e delle Associazioni di pazienti – presenta alcune proposte per migliorare l’aderenza terapeutica: personalizzare le cure, individuando le scelte terapeutiche anche in base a fattori anagrafici, sociali, economici, di residenza – per ridurre ogni discriminante nella presa in carico e nell’erogazione dei servizi; puntare su farmacia dei servizi, infermiere di comunità e caregiver come figure centrali per il miglioramento delle performance di salute dei cittadini, soprattutto dei più fragili, e per una maggiore aderenza terapeutica;  puntare sulla formazione dei sanitari e dei cittadini; incrementare la telemedicina e la digitalizzazione al fine di ridurre le criticità nell’accesso ai servizi e monitorare il percorso di cura, a partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico, strumento ancora non implementato e sfruttato per il monitoraggio della poli-farmaco terapia e per rendere le prescrizioni più chiare per pazienti e caregiver; sburocratizzare i processi, soprattutto in tema di rinnovo dei piani terapeutici, e dare impulso alla somministrazione domiciliare e a sistemi di distribuzione che evitino inutili spostamenti per il reperimento dei farmaci e favorire le cure a domicilio; dal punto di vista della normativa, occorre rispettare gli ambiti territoriali di garanzia – come previsto dal Piano Nazionale Governo Liste Attesa – per evitare ai pazienti lunghi spostamenti, favorire i servizi di prossimità ed aggiornare i Livelli Essenziali di Assistenza con l’inserimento di farmaci al momento ancora non rimborsabili.

 

“Paziente esperto”: le 110 associazioni del Cnamc di Cittadinanzattiva chiedono il ritiro della delibera 702/2022 della Regione Toscana.
“Si rischia l’azzeramento delle pratiche partecipative. Il paziente è esperto in quanto tale e il suo punto di vista è autorevole anche perché collettivo” (1 luglio 2022)
Le 110 associazioni di malati cronici e rari che aderiscono al Cnamc di Cittadinanzattiva – attraverso una lettera inviata oggi alla Regione Toscana, ad Estar (Ente di supporto tecnico amministrativo regionale), e al Ministero della Salute – chiedono il ritiro della delibera 702 del 20 giugno scorso con la quale la Giunta regionale della Toscana ha definito le “Linee di indirizzo sul coinvolgimento del paziente esperto nel percorso di acquisto dei dispositivi medici”. Il paziente esperto, come scritto nell’atto regionale, è “una persona con patologia cronica, oppure oncologica oppure rara anche caregiver, che oltre all’esperienza di malattia abbia acquisito una formazione tecnica riguardo ad argomenti inerenti allo sviluppo dei farmaci o dei dispositivi medici, erogata da un ente formatore riconosciuto”.
Come riportato nella lettera, le associazioni denunciano: “Senza entrare nel merito del profilo della figura che si intende coinvolgere, il cui expertise non intendiamo svalutare, desideriamo tuttavia rimarcare che la competenza dei pazienti è una competenza peculiare, “civica” e non tecnica, che può sì risultare rafforzata da un opportuno percorso formativo, ma che è innanzitutto una questione di concrete condizioni e di “punto di osservazione”. A questo titolo, anche senza alcuna certificazione, i cittadini con malattia cronica o rara sono e devono essere considerati pienamente “esperti” e la loro competenza è irriducibilmente diversa da quella di ogni altro soggetto coinvolto nelle decisioni, e per ciò stesso irrinunciabile”, spiegano le associazioni nella lettera. In base a quanto riportato nella delibera in oggetto, il rischio è che la rappresentatività di un punto di vista, che è autorevole anche perché è collettivo, venga sostituita – in forma esclusiva e in sede di pubblica decisione – dal contributo individuale di un unico Paziente esperto che, seppur formato, non è in condizione di poter esprimere un legame forte con l’associazione di riferimento per uno specifico ambito patologico, sia che si parli di farmaci sia che si parli di presidi o dispositivi medici”.
“È una decisione che rischia di azzerare quanto è stato costruito con gran fatica in questi anni per qualificare l’istituto e le pratiche della democrazia partecipativa e permettere alla componente civica organizzata del nostro Paese di contribuire con il suo imprescindibile punto di vista alle decisioni che le Regioni devono assumere nell’interesse generale. Una scelta che stride con il contributo di proposte, impegno fattivo e soluzioni di cui le organizzazioni civiche e di pazienti hanno dato prova durante la pandemia”, commenta Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva APS

 

Vaccinazione pneumococcica: poca informazione, difformità territoriali nelle strategie vaccinali, mancato monitoraggio e trasparenza sulle coperture.  Presentata un’indagine di Cittadinanzattiva rivolta a medici di medicina generale e cittadini  (27 maggio 2022)

Nella stagione invernale 2021-2022 un cittadino su due, fra quelli intervistati da Cittadinanzattiva, ha riferito di non aver ricevuto la vaccinazione pneumococcicané contestualmente all’antinfluenzale, né in momenti diversi. Tra i motivi principali: non mi è stata proposta (62,7%)non ho idea di cosa sia (17,9%). Tra i soggetti intervistati, il 47,6% l’ha ricevuta, ma solo il 19,5% contestualmente ad altra vaccinazione, mentre il 28,1% in momenti diversi. Incrociando il dato tra coloro che non hanno ricevuto la vaccinazione pneumococcica (52,3%) e la fascia di età 65-70 anni, il 34,5% riferisce di essere stato contattato solo per la vaccinazione antinfluenzale e anti Covid-19. Solo l’1,8% degli aventi diritto ha ricevuto la lettera da parte della ASL con l’invito ad aderire alla vaccinazione pneumococcica.

In questo contesto è centrale la figura del medico di medicina generale nel 65% dei casi è la principale fonte di informazione sulle vaccinazioni raccomandate e gratuite (es. antinfluenzale, antipneumococco, anti-herpes zoster) – ma il 27% dei cittadini si affida anche ai siti internet istituzionali o al medico specialista e al farmacista (22,8%). Il medico di famiglia, nel 92,7% dei casi, propone la vaccinazione pneumococcica a voce/durante una visita e solo il 44,7% lo fa telefonicamente. Vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica non “hanno viaggiato insieme” nel 22,5% dei casi: tra i motivi spicca con un 63% l’aver fissato un nuovo appuntamento in una seduta diversa e un 20% che ha suggerito la co-somministrazione ma non ha proceduto a causa del rifiuto da parte dell’assistito; il 14,8% ha invece segnalato l’indisponibilità di dosi di vaccino anti-pneumococcico e il 13% ha riferito come ostacolo i tempi limitati rispetto alle visite di controllo. Questi sono alcuni dei dati emersi dall’indagine “Vaccinazione Pneumococcica nell’adulto: proposte per un accesso equo e consapevole. Focus in adulti ≥ 65 anni e soggetti con patologia o con condizioni predisponenti”, realizzata da Cittadinanzattiva e presentata oggi a Roma.

La pandemia da Covid-19 ha fatto registrare un calo delle vaccinazioni su tutte le fasce d’età; i dati sulle coperture vaccinali negli adulti e nei gruppi a rischio, a differenza di quanto accade per le vaccinazioni dell’infanzia e dell’adolescenza e per l’antinfluenzale, non vengono sistematicamente raccolti. In questo contesto l’offerta della vaccinazione pneumococcica nel nostro Paese, che pure rientra nei LEA come vaccinazione raccomandata e gratuita, presenta notevoli differenze regionali nell’organizzazione e nell’erogazione, con ricadute importanti sull’equo diritto all’accesso da parte dei cittadini.

Le vaccinazioni non riguardano solo i più piccoli e gli adolescenti. Nell’interesse del singolo e della collettività c’è bisogno di concrete politiche sanitarie per gli adulti e le persone con patologia. Per questo occorre subito un uniforme e programmato monitoraggio delle coperture da pneumococco negli adulti, così come già accade per il vaccino antinfluenzale. Si lavori però contestualmente sull’ampliamento dei punti di accesso alla vaccinazione attraverso: la sottoscrizione di un accordo nazionale con i medici di medicina generale che contribuisca a contrastare le difformità regionali e a realizzare comuni strategie di intervento sul territorio nazionale; coinvolgendo la farmacia dei servizi come ulteriore punto di somministrazione della vaccinazione pneumococcica; favorendo la collaborazione di tutti – pneumologi, diabetologi, oncologi ed altri specialisti – per stimolare i pazienti a considerare la vaccinazione pneumococcica uno strumento di tutela della propria salute; inserendo la stessa vaccinazione nei PDTA per favorire e semplificare l’accesso da parte dei pazienti cronici. Le associazioni di pazienti e cittadini continueranno a costruire fiducia nella vaccinazione e ad operare sulla corretta informazione., ha dichiarato Valeria Fava, responsabile politiche della salute di Cittadinanzattiva.

L’indagine, frutto del coinvolgimento di cittadini di età compresa tra i 18/70anni e dei medici di medicina generale, analizza quanto la vaccinazione antinfluenzale della stagione 2021-2022 possa aver favorito la buona prassi di eseguire co-somministrazioni nell’adulto del vaccino antipneumococco presso lo studio del MMG, indagando inoltre sulla conoscenza e la confidenza rispetto a questo vaccino da parte dei cittadini. Il report, inoltre, si concentra sulla vaccinazione pneumococcica rivolta ad adulti sani di età pari a 65 anni, ad adulti che soffrono di malattie croniche o che presentano condizioni predisponenti indipendentemente dall’età e ha l’obiettivo di contribuire e presentare proposte civiche per una più efficace strategia vaccinale sul territorio nazionale.

Dall’indagine è emerso che il 96,2% dei medici di medicina generale offre ai suoi assistiti la vaccinazione pneumococcica e che i soggetti interessati dall’offerta sono in poco più di 1 caso su 2 (54,9%sia soggetti sani di età >65 anni sia soggetti di qualsiasi età con condizioni predisponenti o considerati a rischio. Seguono nell’ordine soggetti di qualsiasi età con patologie croniche (44,7%) e soggetti sani di età pari a 65 anni (40,7%). L’offerta infine è rivolta a quasi 1 assistito su 3 (28,3%) di età >65 anni che presenta una o più patologie croniche. Le prime quattro patologie croniche che interessano gli assistiti ai quali il MMG può offrire la vaccinazione pneumococcica sono le malattie polmonari (99,1%), le cardiopatie (95,1%), il diabete mellito (88,1%) e le patologie oncoematologiche (83,2%). Solo il 48,4% dei Medici di famiglia può registrare le vaccinazioni effettuate su piattaforma “anagrafe regionale” e meno di 1 su 2 (48,4%) può registrarle su piattaforma regionale o aziendale. In Veneto e Toscana i medici di medici generale riescono, invece, rispettivamente nell’83,3% e nel 77,8% dei casi; per la voce “registrare le vaccinazioni effettuate su piattaforma “anagrafe regionale”, il Lazio si attesta al 87,5%, il Veneto al 78,4% e l’Emilia Romagna al 68,2% (in queste stesse regioni è possibile registrare le vaccinazioni effettuate su piattaforma regionale o aziendale: Emilia Romagna 72,7%, Veneto 64,9%, Lazio 50%). Rispetto alla possibilità di alimentare contestualmente il Fascicolo Sanitario Elettronico dell’assistito, il Veneto registra un 81,1%, l’Emilia Romagna 54,5% e la Toscana 44,4%.

 

La sanità che vorrei: il 97% degli italiani è favorevole al modello delle Case di comunità. Più digitalizzazione, più servizi in farmacia e potenziamento della medicina generale (11 aprile 2022) 

Si è celebrata lo scorso 7 aprile la 72esima Giornata Mondiale della Salute, la terza in epoca di pandemia. Pandemia da COVID-19 che, se da un lato ha generato una crisi economica e sociale senza precedenti, dall’altro ha riaffermato il valore della salute come elemento indispensabile per la crescita economica e sociale del nostro Paese, e ha evidenziato l’urgenza di aumentare gli investimenti in sanità e attuare una riforma dell’assistenza sanitaria sul territorio.

La riforma della sanità del territorio e il DM71 delineano il nuovo modello di assistenza sanitaria di prossimità. All’interno del Distretto socio-sanitario, si trovano anche le Case di Comunità, come luogo fisico di prossimità attraverso il quale la comunità può entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria. Ma quali sono i bisogni prioritari e le aspettative dei cittadini in riferimento a tale riforma?

Secondo la survey “La sanità che vorrei”(*1) realizzata nell’ambito dell’iniziativa Meridiano Sanità(*2) in collaborazione con Cittadinanzattiva, la quasi totalità degli italiani (96,7% dei rispondenti) apprezza le Case della Comunità, soprattutto per la presenza, in un unico luogo, di più professionisti sanitari e per il coordinamento tra gli interventi sanitari e socio-sanitari (secondo il 65% e il 58% dei rispondenti). Se i più giovani apprezzano anche la disponibilità dei servizi 12 ore al giorno 7 giorni su 7, chi presenta delle multicronicità vede nella Casa di Comunità anche un luogo di semplificazione del percorso di cura. In aggiunta, in quanto primo punto di contatto tra la comunità e il sistema socio-sanitario, i cittadini valutano positivamente l’ampliamento delle attività in carico alle Case di Comunità nella direzione di maggiore attenzione alla promozione della salute, al supporto psicologico e al sostegno per la terza età e di garanzia della multidisciplinarietà della presa in carico e dell’integrazione con le altre strutture del SSN.
Tra i pochi che mostrano alcune perplessità emerge la paura che numero e/o collocazione delle Case della Comunità non garantiscano un’effettiva prossimità dei servizi al cittadino; timore avvertito soprattutto in Lombardia, Veneto e Umbria e da chi risiede in zone rurali. Tra i più giovani, anche il timore che la concentrazione di molti servizi in un unico luogo possa generare lunghe attese nell’accesso.

Una delle figure centrali per il cittadino è il medico di medicina generale che si prevede svolga una parte del proprio orario di lavoro all’interno delle Case di comunità, in collaborazione con gli infermieri di famiglia e gli specialisti ambulatoriali. Il medico di medicina generale si conferma figura chiave per il cittadino che gli riconosce una profonda conoscenza della sua storia clinica e un grande livello di fiducia. Chi abita in una zona rurale inoltre apprezza anche la facilità di contatto e comunicazione con il proprio medico. Ambiti di miglioramento riguardano la possibilità per i cittadini di eseguire esami di diagnostica di primo livello e una maggiore disponibilità di orari di visita; è richiesto anche un maggior utilizzo di strumenti digitali per facilitare la comunicazione soprattutto tra gli studenti e tra coloro impossibilitati a lavorare a causa di patologie croniche. In alcune Regioni, quali ad esempio il Friuli Venezia Giulia, la Basilicata e la Sicilia, si rileva una richiesta di un maggior utilizzo della telemedicina.

La farmacia rappresenta un altro player chiave all’interno della nuova assistenza territoriale che si va delineando. La pandemia ha portato a una forte accelerazione verso una piena attuazione della farmacia dei servizi, un attore indispensabile per costruire un nuovo modello di sanità basato sulla prossimità e sulla interconnessione, in coerenza anche con il PNRR. 3 cittadini su 5 sostengono che tra i servizi aggiuntivi da erogare in farmacia sarebbero maggiormente apprezzati l’accesso al sistema CUP per prenotare prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale presso le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate e il pagamento dei ticket e il ritiro dei referti; anche un aumento delle iniziative di prevenzione sarebbe apprezzato. Tra gli over 75 risultano importanti, anche i servizi di supporto all’Assistenza Domiciliare e la consegna di farmaci a domicilio, opzione preferita anche da chi vive nelle zone rurali.
Con riferimento al sistema CUP, gli italiani apprezzerebbero che tutte le strutture sanitarie regionali fossero in rete (71% del campione) e che fosse disponibile la prenotazione on-line senza dover ricorrere all’operatore telefonico (68%). Gli over 65, così come gli abitanti della maggior parte delle Regioni del Sud, chiedono anche che sia garantito un tempo limitato di attesa al telefono.

I risultati di questa indagine mostrano chiaramente come i cittadini avvertano con estrema urgenza la necessità di un sistema sanitario più accessibile, prossimo e vicino alle proprie esigenze, e riconoscano di conseguenza l’importanza di una riforma che va in questa direzione. La sfida del PNRR va vinta non solo costruendo strutture, ma dotandole anche di personale in numero adeguato e con la giusta formazione ed integrazione delle competenze. Bisogna sicuramente accelerare, inoltre, sulla cosiddetta farmacia dei servizi e sulla digitalizzazione, soprattutto a favore delle comunità delle aree interne del nostro Paese” – afferma Valeria Fava, responsabile coordinamento politiche della salute di Cittadinanzattiva.

In un contesto di crescente sensibilità verso gli aspetti connessi alla privacy dei pazienti, è stato chiesto ai cittadini per quali altre finalità sarebbero disposti ad autorizzare il trattamento dei dati sanitari. 7 su 10 hanno dichiarato che autorizzerebbero il trattamento dei propri dati per attivare servizi on line e per implementare il Fascicolo Sanitario Elettronico. Dalla survey emergono anche alcune differenze regionali: se in Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia i cittadini autorizzerebbero il trattamento dei propri dati anche per migliorare la qualità dei servizi, in Lombardia, Marche, Abruzzo e Valle d’Aosta l’autorizzazione sarebbe concessa anche per finalità di studio e ricerca.

 

Cittadinanzattiva su rapporto ALPI (attività libero-professionale intramuraria) presentato da AGENAS: recuperare le prestazioni sanitarie sospese a causa del covid e trovare strumenti più vincolanti per il rispetto dei tempi di attesa nel canale pubblico (25 marzo 2022)

Circa il 33% in meno di prestazioni sanitarie erogate in regime intramoenia nel 2020 rispetto al 2019 e circa il 26% in meno nel canale istituzionale. È questa la riduzione in percentuale dei volumi di prestazioni erogate, certificata dal Report ALPI presentato oggi da AGENAS.

Nello specifico nel 2019 le prestazioni erogate in libera professione intramoenia erano 4.765.345 e nel 2020 sono state 3.204.061, mentre nel canale istituzionale sono state 58.992.277 nel 2019 e 43.398.623 nel 2020.

Dati che ci confermano, una volta di più, la necessità di recuperare quanto è stato sospeso a causa del covid e la necessità per i cittadini di tornare alle cure ordinarie. In particolare occorre accelerare da parte delle regioni l’approvazione dei Piani straordinari per il recupero delle prestazioni sospese a causa del covid, vigilare e rendere trasparenti i dati sull’andamento dei recuperi, sui modelli organizzativi adottati dalle regioni per garantire il ripristino delle prestazioni, sulle tempistiche previste e sull’utilizzo dei fondi stanziati”, dichiara Valeria Fava, responsabile coordinamento politiche della salute di Cittadinanzattiva, intervenuta oggi alla presentazione del Report, frutto delle rilevazioni effettuate secondo le “Linee Guida per il monitoraggio ex ante delle prestazioni prenotate in ALPI” predisposte da AGENAS in collaborazione con il Ministero della Salute, Cittadinanzattiva, Istituto Superiore di Sanità ed esperti delle Regioni e Province Autonome in materia di liste di attesa e ALPI.

Sono 11 le regioni che per le prenotazioni utilizzano esclusivamente l’agenda gestita dal sistema CUP, nelle altre vi sono ancora casi in cui si prenota tramite agende cartacee gestite dal singolo professionista o dalla struttura e questo a discapito della trasparenza sulle liste di attesa. Inoltre in alcune realtà il rapporto tra prestazioni erogate in intramoenia e nel canale istituzionale (che non deve superare il 100%, ossia per ogni prestazione erogata nel canale intramurario ce ne deve essere almeno una erogata nel pubblico) evidenzia che per i cittadini il ricorso all’intramoenia non è una libera scelta ma una scelta obbligata. Il rapporto certifica infatti che, in 13 regioni su 21, si rilevano situazioni in cui il suddetto rapporto è superiore al 100% soprattutto nell’ambito della visita e della ecografia ginecologica”. Succede ad esempio, che in una Asl della Campania per una visita cardiologica ed elettrocardiogramma si è passati da un rapporto fra attività erogata in ALPI e quella erogata in regime istituzionale pari al 72% nel 2019 e al 206% nel 2020, il che significa che per una prestazione erogata nel canale istituzionale ce ne sono due erogate in intramoenia; in una azienda marchigiana per la visita urologica il rapporto è passato dal 147% nel 2019 al 228% nel 2020, per la mammografia in un’azienda piemontese si passa dal 16% nel 2019 al 142% nel 2020.

Per questo – conclude Fava – occorre pensare a strumenti più vincolanti perché Asl e Regioni garantiscano un vero recupero delle liste d’attesa, rispettino i tempi massimi di attesa e ai cittadini siano garantiti gli stessi diritti, soprattutto in termini di accesso alle prestazioni, indipendentemente dal territorio in cui vivono”.

 

Gli anziani non autosufficienti meritano una riforma ambiziosa: dalle organizzazioni del “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” la proposta di un Sistema Nazionale di Assistenza (1 marzo 2022)

“Siamo all’avvio dell’iter della riforma sulla non autosufficienza, i cui primi atti consisteranno nella presentazione del Disegno di Legge Delega da parte del Governo e nella sua successiva discussione in Parlamento. Occorre fare presto ed unire le forze con l’obiettivo di arrivare ad una riforma, attesa da oltre 20 anni, che sia all’altezza delle esigenze dei 3,8 milioni di anziani non autosufficienti e delle loro famiglie”, è quanto affermano le circa 50 organizzazioni del “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” che hanno elaborato un’articolata proposta finalizzata ad arricchire il Disegno di legge delega a cui sta lavorando il Governo.

La proposta verte intorno a cinque messaggi fondamentali: arrivare ad una riforma ambiziosa; superare la frammentazione delle misure e dei servizi; dare risposte diverse ai diversi bisogni; puntare a percorsi di assistenza semplici ed unitari; conseguire la tutela pubblica della non autosufficienza.

Il cuore di quanto proposto dal Patto è l’istituzione di un Sistema Nazionale di Assistenza agli anziani non autosufficienti che, attraverso uno stretto coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni, definisca un percorso unico e chiaro ed integri le prestazioni sanitarie e quelle sociali a favore dei quasi 4 milioni di anziani non autosufficienti e delle loro famiglie.

Nello stesso tempo la riforma punta a promuovere la permanenza degli anziani al proprio domicilio, garantendo agli stessi e alle famiglie le prestazioni sociali e sanitarie di cui necessitano in un’ottica integrata, riconoscendo la funzione di cura del caregiver familiare e tutelandone il benessere psico-sociale; la domiciliarità è promossa anche attraverso la diffusione sull’intero territorio delle cosiddette Soluzioni Abitative di Servizio, previste anche dal PNRR, ossia civili abitazioni – individuali, in coabitazione, condominiali o collettive – che garantiscano sicurezza e qualità alla vita agli anziani ed integrino servizi di supporto alla socialità e alla vita quotidiana, servizi alla persona, ausili tecnologici e tecnologie di assistenza. E per le Residenze Sanitarie Assistenziali, le RSA, la proposta del Patto prevede misure che ne riformino organizzazione e operatività affinché assicurino qualità ed appropriatezza delle cure e qualità di vita agli anziani residenti.

La nostra riforma propone una nuova governance delle politiche per la non autosufficienza, affidata al Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA), che punti a costruire una filiera di risposte che siano differenziate e complementari tra loro: servizi residenziali, semiresidenziali, domiciliari, trasferimenti monetari, adattamenti delle abitazioni, sostegni ai caregiver familiari e alle assistenti familiari (“badanti”). È necessario semplificare l’accesso degli anziani all’assistenza pubblica ed evitare che le famiglie debbano – come oggi accade – peregrinare tra una varietà di sportelli, luoghi e sedi. Nello SNA, pertanto, la possibilità di accedere a tutte le risposte pubbliche è definita attraverso una sola valutazione iniziale ed è previsto un percorso unitario, chiaro e semplice, all’interno della rete del welfare”, spiegano le organizzazioni del Patto.

La riforma prevede anche l’istituzione di una Prestazione Universale per la Non Autosufficienza, un contributo economico che assorbe l’indennità di accompagnamento e al quale si accede in base e esclusivamente al bisogno di cura (universalismo). “La logica è quella di sostenere le famiglie anche dal punto di vista economico, ma differenziando l’importo in base al fabbisogno assistenziale. Oggi in Italia, il contributo economico per gli anziani non autosufficienti è di 520 euro, uguale per tutti, in Germania invece si arriva a 901 euro mensili per chi ha maggiore fabbisogno di assistenza”.

 

Decreto Tariffe / Nuovi LEA: basta attese, si raggiunga accordo. Nuovo appello di Cittadinanzattiva e Osservatorio Malattie Rare in una lettera alle Istituzioni (23 febbraio 2022)

Chiediamo la rapida approvazione del Decreto Tariffe per l’assistenza specialistica ambulatoriale e protesica, e una revisione periodica e certa non solo dei Livelli Essenziali di Assistenza ma anche dei decreti ad essi connessi per evitare futuri ritardi e perdite di tempo che incidono irrimediabilmente sulla vita delle persone”.

A distanza di due settimane dal primo appello, 132 Associazioni di malati cronici e rari aderenti al Cnamc di Cittadinanzattiva e all’Alleanza Malattie Rare coordinata da Osservatorio Malattie Rare (OMaR) scrivono al presidente Draghi, al Ministro Speranza, al Presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga e al Coordinatore della Commissione Salute delle Regioni Donini, affinché si superi l’impasse che a livello istituzionale sta bloccando il Decreto Tariffe in Conferenza Stato-Regioni, e con esso l’entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza.

Cinque anni fa veniva pubblicato il DPCM 12 gennaio 2017 che ancora oggi chiamiamo “Nuovi LEA”. Ancora oggi, tutti i cittadini ne attendono la piena attuazione che è possibile soltanto a partire dall’approvazione del Nuovo Nomenclatore tariffario. Ebbene il cosiddetto Decreto Tariffe è arrivato qualche settimana fa ed ora è fermo sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni, ma queste ultime continuano a non trovare una intesa.

Per la salute dei cittadini il tempo è estremamente prezioso, lo è ancora di più per molte patologie croniche e rare che sono caratterizzate da un decorso estremamente veloce e da esiti altamente invalidanti. Per questo riteniamo doveroso che le Istituzioni si adoperino per rendere esigibile il diritto alla salute dei cittadini e il diritto ad una migliore qualità di vita. L’approvazione del Decreto garantirebbe l’erogazione di nuove e lungamente attese prestazioni, ma soprattutto ne agevolerebbe l’erogazione uniforme su tutto il territorio nazionale. Tra i provvedimenti che trovano un blocco in questa mancata attuazione dei nuovi Lea c’è il decreto di aggiornamento del panel degli screening neonatali, fermo al 2016, l’inserimento nella lista delle patologie esenti di malattie rare e croniche precedentemente non incluse e anche il riconoscimento al diritto alla PMA (procreazione medicalmente assistita) per alcune persone affette da patologie genetiche trasmissibili. Manifestiamo – concludono le organizzazioni – la nostra piena disponibilità ad essere auditi, al fine di poter validamente rappresentare le ragioni sottese a questa richiesta”.

 

Mai più bambini in carcere! Cittadinanzattiva: dopo l’appello della Ministra Cartabia, si proceda velocemente all’approvazione del Disegno di Legge Siani (18 febbraio 2022)

“Ieri, in occasione della audizione presso la Commissione Parlamentare per l’Infanzia, la Ministra Cartabia ha richiamato nuovamente l’attenzione sul gravissimo ed irrisolto problema della presenza dei bambini in carcere al seguito delle madri detenute. Per questo chiediamo che si acceleri l’iter di approvazione della proposta di legge Siani, depositata già a fine 2019, evitando così di buttare all’aria tre anni di impegno di parte delle istituzioni e di tutte le associazioni” ad affermarlo Laura Liberto, coordinatrice nazionale Giustizia per i diritti – Cittadinanzattiva, che da tempo è impegnata, insieme all’associazione A Roma insieme Leda Colombini, a richiamare e tenere viva l’attenzione pubblica e delle istituzioni perché si approvino misure efficaci che consentano di mettere fine in via definitiva al fenomeno dell’incarcerazione dell’infanzia.

In particolare, la Ministra ha sottolineato che “l’obiettivo ideale deve essere quello di “mai più bambini in carcere””, perché “anche un solo bambino ristretto è di troppo”.

“Occorre che tale obiettivo non rappresenti un orizzonte ideale, ma un risultato da ottenere in concreto. Se, infatti, è vero che – grazie all’impegno profuso dallo stesso Ministero, dai Garanti dei detenuti, dalle associazioni, da singoli magistrati nella individuazione di soluzioni ad hoc alternative – il numero dei piccoli detenuti si è sensibilmente ridotto nell’ultimo biennio, è altrettanto vero che occorre lavorare alla costruzione di risposte di sistema perché quel numero può tornare a crescere. In questa prospettiva la proposta di legge Siani “in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, introducendo significative modifiche normative di natura sostanziale e processuale, rappresenta un passaggio cruciale per superare in via definitiva il fenomeno dell’incarcerazione dei bambini. Per passare dalle parole ai fatti – conclude Liberto – è a questo punto necessario che si riprenda l’esame in Commissione della proposta di legge e si acceleri il relativo iter di approvazione per concluderlo entro la fine della legislatura”.

 

Cittadinanzattiva: ora “piano di emergenza” per la sanità ordinaria. Primo atto: si approvi con urgenza il Decreto tariffe per rendere esigibili i nuovi LEA per milioni di persone (8 febbraio 2022)

“Non siamo più disposti ad attendere. Ora che la pandemia allenta la sua morsa, dobbiamo con urgenza passare ad un “piano di emergenza” per la sanità ordinaria cominciando col rendere disponibili i Livelli essenziali di assistenza approvati fin dal 2017, ma bloccati da allora per alcuni passaggi preliminari. Primo fra tutti l’approvazione del Decreto Tariffe, arrivato sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni e fermo lì già da qualche settimana. Lasciarlo fermo vuol dire assumersi una responsabilità politica e morale enorme, poiché significa disconoscere l’insegnamento della pandemia sulla centralità del Servizio sanitario nazionale e continuare a tenere “sospesa” la sanità pubblica finora focalizzata sulla lotta al Covid”, dichiara Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva.

“Da anni i cittadini italiani, le persone malate, i malati rari aspettano l’aggiornamento dei LEA, aspettano di ottenere cioè quelle prestazioni riconosciute essenziali per garantire la salute stessa degli individui e la salute collettiva. Già nel 2017 i nuovi Livelli essenziali di assistenza sono stati definiti; nel frattempo, grazie ai progressi continui della scienza, altri ne sono stati individuati, e si potrebbero aggiungere, a beneficio di tanti cittadini malati ma anche a vantaggio della prevenzione e della promozione della salute di ogni cittadino. E dunque, ora che il Decreto Tariffe è arrivato all’intesa presso la Conferenza Stato-Regioni, ci aspettiamo che tutto si definisca al più presto: sbloccandolo, infatti, entreranno in vigore anche il Nomenclatore della specialistica ambulatoriale e quello dell’assistenza protesica”.

Cittadinanzattiva si mobiliterà nei prossimi giorni a tutti i livelli e con tutte le associazioni dei malati cronici e rari che aderiscono al CnAMC (Coordinamento nazionale Associazioni malati cronici e rari), le quali si rendono disponibili fin da subito a un confronto di merito con la Conferenza Stato-Regioni, purché si vada avanti e non si perda ulteriore tempo.

“La definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza rappresenta al momento la modalità più stringente per ridurre le disuguaglianze fra i vari territori – conclude Mandorino – poiché essi fissano i livelli di salute che tutte le Regioni devono assicurare e monitorarne l’applicazione costituisce per i cittadini una possibilità concreta per valutare l’esigibilità dei propri diritti”.

 

30 anni dalla legge 91 sulla cittadinanza: è ora di cambiare. Le storie di tanti giovani nati e cresciuti in Italia per Obiettivo Cittadinanza, la campagna di Cittadinanzattiva e Italiani senza cittadinanza (4 febbraio 2022)

 “Una legge nata vecchia già trent’anni fa e che oggi risulta scollegata del tutto dalla realtà, tra le più rigide nel contesto europeo e soprattutto discriminante nei confronti delle centinaia di migliaia di giovani. Per questo crediamo sia giunto il momento di occuparci con urgenza di una riforma organica, che non si limiti ad introdurre singole modifiche, ma che intervenga su tutte le modalità di acquisizione della cittadinanza, con la generale finalità di ampliarne l’accesso”, è quanto dichiarano Laura Liberto di Cittadinanzattiva e Fioralba Duma del movimento Italiani senza cittadinanza in merito alla legge sulla cittadinanza n. 91 entrata in vigore il 5 febbraio del 1992.

Le due organizzazioni sono promotrici della Campagna Obiettivo cittadinanza, inaugurata alcun mesi fa proprio per ricordare il peso di una legge nata ingiusta e per dare un volto e una voce alle persone che condividono storie e percorsi di vita, si informano sui propri diritti, mettono a disposizione la propria esperienza.  “Al contempo, in attesa della riforma della legge, è quanto mai necessario contenere i tempi di risposta alle domande di cittadinanza, semplificare ed accelerarne l’iter burocratico e uniformare le prassi amministrative. Per migliaia di persone, infatti, l’accesso alla cittadinanza costituisce un vero e proprio percorso ad ostacoli, che può durare anni, senza nessuna certezza sui tempi di risposta e sull’esito, con ricadute significative e concrete sulla vita dei richiedenti”, spiegano le due organizzazioni.
“Noi Italiani non riconosciuti viviamo direttamente l’impatto di una legge discriminatoria che subiamo come un muro pesante trent’anni che va abbattuto il prima possibile – aggiunge Sonny Olumati del movimento Italiani senza cittadinanza, nato a Roma ma ancora senza passaporto italiano e uno dei volti della Campagna – La riforma della legge sulla cittadinanza è un atto dovuto a più di un milione di bambini e adolescenti qui cresciuti e agli adulti che come me si sentono imprigionati e stranieri in casa propria per la miopia dei politici che votarono il testo nel 1992 e dei politici di oggi che continuano a negare la trasformazione del Paese che noi rappresentiamo nel presente e per il futuro”.

 

Cittadinanzattiva scrive al Ministro Speranza e al Commissario Figliuolo: abbattere la “burocrazia da covid”. Semplificare procedure per farmaci antivirali, velocizzare rilasci e sospensioni del green pass, abolire ovunque il certificato per il rientro a scuola dopo quarantene ed isolamenti (1 febbraio 2022)

Consentire il ritiro dei farmaci antivirali per il trattamento del Covid-19 presso le farmacie di comunità, oltre che presso quelle ospedaliere; semplificare ed uniformare le procedure per il rientro a scuola degli studenti dopo la quarantena, in particolare eliminando ovunque il certificato del medico o del pediatra, che ancora molte scuole continuano a richiedere; superare alcune disfunzioni del sistema che ad oggi non sempre rende disponibile in tempi rapidi il green pass rafforzato, in particolare per chi ha fatto due dosi di vaccino e successivamente è guarito dall’infezione.

Sono queste le tre principali richieste che Cittadinanzattiva ha inviato oggi in una lettera aperta al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Commissario Figliuolo.

Numerose sono le difficoltà che nelle ultime settimane i cittadini segnalano ai nostri servizi di assistenza, informazione e tutela e che denotano la cosiddetta “burocrazia da covid”. Difficoltà a districarsi fra le regole, tempi lunghi per uscire dall’isolamento e dalle quarantene, anche a causa della richiesta a volte di certificati inutili e di procedure che variano anche di Asl in Asl o da un istituto scolastico all’altro. È indispensabile infatti semplificare alcune procedure, innanzitutto a vantaggio delle persone e per rispondere al senso di responsabilità che la gran parte di esse mostra da ormai due anni nel contrasto alla pandemia; e nello stesso tempo per alleggerire il sistema, in particolare i medici di famiglia e i pediatri, come anche i dirigenti scolastici, che in queste ultime settimane sono stati messi a dura prova dal rapido diffondersi della variante Omicron”, dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

Le segnalazioni giunte in queste ultime settimane a Cittadinanzattiva riguardano in particolare questi aspetti.

Antivirali per il trattamento di pazienti affetti dall’infezione da COVID-19 non ospedalizzati e con malattia lieve-moderata. Le segnalazioni fanno riferimento a cittadini che lamentano la scomodità di andare a ritirare gli antivirali presso le strutture accreditate spesso distanti rispetto alla loro abitazione; inoltre, ci risulta che solo su alcuni siti regionali è presente l’elenco delle strutture regionali accreditate. Potrebbe essere più funzionale ed agevole per i pazienti ritirare i farmaci presso le Farmacie di Comunità che potrebbero essere accreditate secondo la modalità di consegna “per conto”.

Green pass. Le segnalazioni relative al Green pass sono le più numerose, in particolare i cittadini lamentano malfunzionamenti della piattaforma. Tra i casi più ricorrenti vi sono: i ritardi nella sospensione del certificato verde in caso di contagio di chi ne è già in possesso o mancato rilascio dello stesso in caso di guarigione. Altri cittadini, guariti da meno di quattro mesi dal covid e con due dosi precedenti di vaccino, segnalano che il loro green pass vale come green pass base che non gli permette di accedere a molti servizi.

Falle nel sistema di tracciamento dei positivi e comunicazione di fine quarantena. In questi giorni i cittadini lamentano di non riuscire ad ottenere dal proprio medico di base il certificato di guarigione a causa delle mancate comunicazioni da parte delle Asl; tale situazione crea non solo disagi ai cittadini ma anche un forte “appesantimento” per i medici, costretti a dedicare tanta parte del loro tempo all’evasione di pratiche burocratiche piuttosto che alla cura dei pazienti.

Rientro a scuola con esito del test molecolare attestante la negatività. Non sono poche le famiglie che lamentano difficoltà per far rientrare a scuola i propri figli dopo l’esito negativo del tampone effettuato a fine quarantena. Le procedure appaiono difformi da istituto ad istituto, anche all’interno della stessa asl di riferimento. Chiediamo che, anche in sinergia con il Ministero dell’Istruzione, sia ribadita la semplificazione ed omogeneizzazione delle procedure per il rientro a scuola degli studenti degli istituti di ogni ordine e grado e sia accettato il test rapido o molecolare negativo senza certificato del medico di base o del pediatra di libera scelta.

 La Guida sul coronavirus disponibile sul sito web di Cittadinanzattiva fornisce informazioni semplici ed aggiornate, in particolare nuovi approfondimenti su farmaci antivirali e mascherine FFP2. I cittadini possono inviare segnalazioni e richieste di informazioni alla mail coronavirus@cittadinanzattiva.it

 

Indagine su vaccinazioni non covid: una babele fra singole regioni ed asl su accordi regionali per la somministrazione negli studi medici e tempi di attesa allungati dal Covid.

A breve la Carta della qualità dei servizi vaccinali promossa da Cittadinanzattiva (26 gennaio 2022)

In alcune asl o distretti occorrono anche tre mesi tra la prenotazione e l’effettiva somministrazione delle vaccinazioni obbligatorie (non covid), con attese medie che vanno da 4/8 giorni fino anche ai 20/40 giorni a seconda delle regioni. Le discrepanze non sono solo fra le regioni ma anche fra le singole Asl. A sorpresa, si aspetta mediamente di più al Nord rispetto al Sud. Bene Puglia e Toscana dove non si superano mai i 15 giorni di attesa. Sui tempi ha inciso direttamente la pandemia se si pensa che, fra marzo 2020 e fine 2021, oltre il 40% dei Centri vaccinali ha subito riduzione di personale e degli orari di apertura; uno su dieci è stato addirittura chiuso. A fine 2021 tutti i centri sono stati riaperti, nel 80% dei casi gli orari sono stati ripristinati, mentre la dotazione di personale è ritornata al livello precedente la pandemia solo nel 47% dei Centri.

Poco chiara l’informazione sulla possibilità di effettuare le vaccinazioni presso gli studi dei medici di famiglia e dei pediatri: i siti web delle Regioni e delle Asl segnalano come “disponibili alle vaccinazioni” soltanto il 38% degli studi di MMG e il 48% degli ambulatori pediatrici.

Mancano inoltre informazioni precise su tipologia di vaccinazione erogata e su modalità di prenotazione, nonostante la stessa sia obbligatoria per la gran parte dei centri. Garantiscono la vaccinazione anche in orario pomeridiano il 79,5% dei Centri, l’84% degli studi dei MMG e il 75% degli studi pediatrici; questa possibilità è garantita di sabato solo nel 2% dei centri vaccinali, nel quasi 39% degli studi medici e nel 25% di quelli pediatrici.

È questa l’anticipazione di alcuni dati scaturiti da una indagine svolta da Cittadinanzattiva nell’ambito del progetto “Carta della qualità dei servizi vaccinali”, promosso con il contributo non condizionato di GSK, MSD e Sanofi.

“È urgente raggiungere una maggiore uniformità nelle vaccinazioni, poiché le differenze evidenziate creano iniquità e rischiano di minare la fiducia nelle istituzioni sanitarie. Nel nuovo Piano nazionale di prevenzione vaccinale chiediamo una rimodulazione dell’offerta più uniforme tra Regioni e ASL e di istituire dei requisiti minimi organizzativi per favorire una maggiore accessibilità. La prevenzione resta una grande assente nel PNRR e, a maggior ragione, crediamo che il Servizio sanitario nazionale debba disporre di un calendario vaccinale nazionale unico, costruito sulla base di obiettivi di salute uniformi su tutto il territorio”, afferma Valeria Fava, responsabile politiche della salute di Cittadinanzattiva.

L’indagine è stata svolta tramite interviste e questionari agli assessorati regionali alla sanità (8 quelli che hanno risposto), ai Centri vaccinali (147 di 13 regioni), ai medici di famiglia e pediatri di libera scelta (rispettivamente 212 di 17 regioni e 270 di tutte le regioni). I dati dettagliati saranno presentati ad inizio marzo, insieme alla Carta della qualità dei servizi vaccinali che Cittadinanzattiva sta mettendo a punto in collaborazione con un tavolo multistakeholder che comprende, fra gli altri, Ministero della Salute, FIMMG, SIMG, FIMP, SIP. La Carta potrà essere uno strumento per incentivare nuovi modelli organizzativi e facilitare l’accesso da parte dei cittadini alle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, al fine di raggiungere le coperture vaccinali raccomandate a seconda delle fasce di età. Alla presentazione della Carta seguirà un tour di 5 talk show, con la partecipazione di esperti ed istituzioni, aperti ai cittadini interessati ad approfondire le informazioni sui vari tipi di vaccino.

Quali gli ostacoli alla vaccinazione negli studi medici. Dal punto di vista organizzativo, mancano spesso gli accordi regionali con le categorie dei medici di famiglia e dei pediatri sulla possibilità di effettuare le vaccinazioni in ambulatorio. Laddove l’accordo regionale è previsto, i medici non sempre ne sono a conoscenza, e non vengono somministrate tutte le vaccinazioni previste. Dai dati emerge che in tema di vaccinazioni raccomandate per il medesimo target (ad es. Meningococco ACWY e HPV nella fascia adolescenziale, o Pneumococco e Zoster nella fascia adulti/anziani) la gratuità è garantita quando si effettua nella fascia di età consigliata, mentre se si va oltre quella fascia in alcune Asl si paga in altre no. Il 50% dei pediatri e il 60% dei medici affermano che non è facile convincere i pazienti a vaccinarsi; inoltre, più di uno su tre (fra il 34% dei pediatri e il 42% dei medici) segnala la difficoltà di conciliare le vaccinazioni con le attività ambulatoriali “ordinarie” e più di uno su cinque (sia fra MMG che fra i PLS) dice di non avere gli spazi o il personale necessario per vaccinare i propri pazienti. I centri vaccinali, invece, poiché dotati spesso di più personale, possono garantire sempre (39%) o nella maggior parte dei casi (58%) tempi adeguati allo svolgimento delle diverse fasi della seduta vaccinale. Quando questo non avviene, poco meno di uno su tre denuncia di tralasciare gli aspetti legati all’accoglienza e alla relazione umana e un quinto denuncia di non riuscire a fare una anamnesi o colloquio adeguato.

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