Se anche la medicina difensiva non fosse più come prima?
La medicina difensiva è un fenomeno che si è sviluppato negli ultimi decenni e riguarda tutte quelle procedure che un professionista sanitario mette o non mette in atto al fine di evitare un contenzioso legale con i pazienti e/o i familiari del paziente stesso.
Cosa significa questo? Significa un eccesso nella prescrizione di esami e/o di farmaci potenzialmente inutili ai fini della cura di quel determinato paziente; in questo caso, quindi, si tratta di medicina difensiva “positiva” o, dall’altro, nell’evitare di prescrivere esami e/o nell’eseguire interventi chirurgici costosi sino all’evitamento della presa in carico di casi complessi. Il cambiamento culturale che c’è stato negli ultimi decenni rispetto alla prima metà del secolo scorso, ha sicuramente influito: se prima l’autorevolezza e la competenza professionale, del medico in particolare, non venivano messe in discussione poiché egli operava nell’interesse del paziente, questa fiducia è andata progressivamente scemando. Anche coloro che non si fidavano più di tanto della scienza e della medicina in generale, non avrebbero mai ritenuto possibile il fatto di portare in causa un medico[1].
Questo atteggiamento è dannoso nei confronti del paziente, oltre ad aumentare notevolmente le spese per la sanità (stimato in 10 miliardi di euro l’anno già nel 2015 secondo la commissione parlamentare di inchiesta sugli errori medici)[2]. Il fenomeno è ovviamente complesso e costituito da vari elementi che non possono essere imputabili solo e soltanto al professionista. La pandemia Covid-19 ci ha messi davanti a un fatto ineluttabile: i sempre più scarsi investimenti nella ricerca e nel Servizio Sanitario Nazionale sono stati e sono ancora un problema enorme.
Il Servizio Sanitario Nazionale era già in crisi prima della pandemia, figuriamoci adesso. Il personale sanitario, già ante pandemia, risentiva di turni massacranti, gestioni strutturali e organizzative spesso fallaci, difficoltà di comunicazione tra strutture, reparti, colleghi etc. La tutela psicofisica del medico, dell’infermiere e del paziente dovrebbero essere un punto fermo nelle politiche sanitarie, ma qualcuno ha mai davvero pensato che tutelare il benessere dei dipendenti e dei pazienti (compreso il benessere mentale!), fosse un punto fermo e non un optional trascurabile?
L’errore è dietro l’angolo, anche quando si pensa di aver messo in atto tutte le misure necessarie, di aver rispettato le linee guida e i protocolli di sicurezza etc. La “teoria del formaggio svizzero” di James Reason, riferita ai sistemi complessi, ci ricorda come si possono verificare danni e/o catastrofi nonostante la messa in atto di tutte le procedure previste.
Non sembra cambiato granché dall’approvazione della Legge Gelli (L. n.24, 8 marzo 2017), non a caso intitolata “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché’ in materia di responsabilità’ professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. che ha distinto la responsabilità della struttura sanitaria rispetto a quella del singolo professionista, anche quando questi opera in regime di libera professione intramoenia[3] –
Il punto è che l’errore dovrebbe essere anch’esso “preso in carico” da tutta l’équipe per capire cosa lo ha determinato, cosa è possibile imparare da ciò che è successo e come è possibile rimediare in futuro.
Se tutto il peso grava sul singolo, la pressione diventa enorme insieme alle altre componenti quali: la competizione, la mancanza di personale, i turni sfiancanti, le dinamiche complesse tra i vari dipendenti e la relazione “a tempo” con i pazienti, perché, dobbiamo dirlo, in molti casi, persino in intramoenia, ci sono tempi stretti di 15-20 minuti tra una visita e l’altra, i costi a paziente, l’alta specializzazione da una parte e la scarsa qualità degli aggiornamenti continui dall’altra etc. alla faccia della continua riaffermazione del principio che ‘la comunicazione è tempo di cura’.
Ci aspettiamo che dopo una pandemia epocale e globale possa andare meglio?
In questo percorso a ostacoli la comunicazione fra tutte le parti in campo gioca un ruolo fondamentale. Dovrebbe essere spostato l’asse della questione dalla ricerca di un colpevole verso la ricerca di una comunicazione trasparente ed efficace, dove l’errore diventi un momento di confronto che offra la possibilità di costituire non solo l’evento ‘sentinella’, ma anche eventuali modifiche che potrebbe essere apportate affinché non accada ancora[4].
Il documento “Quando le cose vanno male” redatto nel 2006 dalla Massachusetts Coalition for the Prevention of Medical Errors è un esempio importante di quanto sia fondamentale comunicare al paziente e ai familiari l’errore. Una guida per comprendere come comunicare, come prendersi cura di chi ha subito un determinato danno anziché nascondere la causa, inviare pazienti ad altri specialisti ipotizzando cause generiche (n.d.r. dettate anche dai bias culturali e dagli stereotipi che sono ben radicati ancora nella politica, nella società, nel mondo del lavoro, ma anche nella prassi medica, soprattutto clinica). E qui si apre un mondo ulteriore, che verrà approfondito in un altro momento.
Questi sono chiaramente degli aspetti parziali di fenomeni molto complessi, che andrebbero poi analizzati singolarmente ma anche trasversalmente.
In sostanza, ci sono bisogni urgenti che non possiamo più ignorare: trasparenza, umiltà, umanità, cura , ascolto, relazione, professionalità, rispetto, empatia.
Se da una parte, il personale sanitario è stato capace di gestire una pandemia epocale, con le difficoltà e le limitate risorse che avevano a disposizione, dall’altra appare chiaro come adesso sia più che mai necessario sostenere psicologicamente e professionalmente questi professionisti attraverso strumenti della cosiddetta governance sanitaria, che siano adatti ad un sistema che oggi più che mai necessita di cambiamenti costruttivi. Il documento redatto dall’OTGC (Organismo Toscano per il Governo Clinico) ed intitolato “Andrà tutto bene…se saremo capaci di cambiare!” (clicca qui per andare all’articolo) , rivela criticità ma anche potenzialità di un sistema sanitario che necessita urgentemente di essere ripensato. Uno dei tanti problemi che ci troviamo ad affrontare adesso, riguarda la ripresa dei percorsi di cura dei pazienti con malattie croniche e dei percorsi di prevenzione delle stesse.
Ciò che appare fondamentale è che l’evoluzione avvenga, in ambito sanitario, nel prossimo futuro, a partire da “ieri”.
Un aspetto che dobbiamo cominciare a inquadrare nella complessità del problema è quello connesso con la telemedicina. Lo strumento ha cominciato ad avere una sua rilevanza con la pandemia, a essere “sdoganato” insieme a tante altre piccole grandi innovazioni quali: le ricette elettroniche inviate via e-mail o sms, i piani terapeutici rinnovati dai medici di famiglia etc. Ciò ha iniziato ad avere una rilevanza anche “strutturale” poiché, nel momento in cui le regioni (o il SSN in senso lato) attribuiscono loro un codice, introducendo per ora un “costo zero”, tutto questo inizia a profilare problematiche di tipo economico-sindacali. Questo avviene soprattutto in tema di responsabilità, perché lo strumento informatico a distanza semplifica certamente l’approccio e consente alcune soluzioni rapide ed efficaci, ma porta con sé tutta una serie di ulteriori aspetti di complessità, che vanno dalla riduzione dell’aspetto relazionale tra medico e paziente, al crearsi nuovi momenti di criticità relative alla responsabilità: questi a nostro avviso potrebbero essere attutiti dall’attribuzione di nuovi parametri di “presa in carico a distanza”, che dovrebbero obbligare il medico che fa la televisita, a decidere se e come il paziente abbia bisogno anche di un contatto medico ‘in presenza’, assumendo egli stesso l’onere di gestire la successiva prestazione, direttamente o tramite organizzazione e prenotazione del successivo momento clinico diagnostico. Certamente da questo nascerà poi una nuova “videomedicina difensiva”.
D’altra parte i problemi nascono sempre, quando si comincia a lavorare in una nuova modalità, sperando che tutto questo non ci lasci domani nel limbo di altri decreti “attuativi” ( o “ostativi?”) secondo le cattive pratiche legislative del nostro paese. Ma se solo pensiamo alla possibilità di un “ritorno al futuro” nella nuova normalità post-pandemica, lasciamo la porta aperta alla speranza che, quando si arriva al punto più basso della curva… dopo, obbligatoriamente, si dovrà risalire.
RIFERIMENTI:
[1] Daniel Coen, Perché i medici sbagliano, Mondadori libri S.P.A. , Milano, 2019
[2] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_1994_listaFile_itemName_0_file.pdf
[3] https://www.ore12italia.eu/riforma-gelli-medicina-difensiva/
[4] Daniel Coen, cit.