Esiste una fragilità volontaria?
Partendo dall’esperienza di un laboratorio sulla comunicazione tra medico e paziente, teso all’esplorazione di una fragile interrelazione per la cura delle persone, che nasce dalla precarietà di un rapporto asimmetrico, visto ancora come quello tra il medico stregone guaritore e il paziente sottomesso ed ancora più debole in quanto malato, abbiamo cercato di comprendere, attraverso anche alcuni strumenti della Teoria U del Presencing Institute del MIT di Boston, se fosse possibile abbandonare vecchi paradigmi e co-creare una nuova alleanza di cura.
Alla fine di un percorso di tre giornate tra medici di famiglia e cittadini/pazienti sono emersi alcuni punti a comune, che vanno dal concetto che ‘la sanità siamo noi’ all’affermazione che ‘le cose non vanno ma non si deve stare a lamentarsi e continuare a non agire aspettando un deus ex machina.’
Dalla discussione nata con questa ultima affermazione, così frequentemente espressa in tanti differenti contesti del nostro mondo quotidiano, siamo giunti a prospettare il concetto che questo stato di ‘lamentosità’ non propositiva rappresenti uno stato di fragilità volontaria, uno stato di passività negante ogni possibilità di riscatto e di costruzione di un io-attivo-propositivo: una mancanza di speranza e di aspettative, che abbassa le difese dell’individuo, ne riduce gli anticorpi, lo rende inevitabilmente suscettibile di soccombere di fronte a malattie, ingiustizie, soprusi e avversità di ogni tipo, naturali, sociali, economiche e così via.
Una perdita di chances inconsciamente autoindotte, una fragilità che potremmo definire ‘volontaria’, per distinguerla da tutte quelle situazioni, innate o acquisite, sicuramente non volute, che ricadono nei confini dell’accezione più comune di fragilità.
Certo, ma che cosa è la fragilità?
La parola fragilità ha molte sfaccettature. La fragilità è una condizione transitoria o persistente legata a particolari situazioni morbose, sociali, psicologiche, economiche. La fragilità può essere visibile o invisibile, apparire in forme sfumate e poco rappresentate, oppure risultare evidente e condizionante. Con questo termine quindi si può indicare uno status esistenziale vero e proprio. La fragilità comporta una relazione: la relazione rinvia inevitabilmente al tema della complessità.
Per molto tempo, fino dall’antichità, della disabilità si è sottolineato l’aspetto organico. E’ prevalsa una concezione ‘medicalizzata’ della disabilità, come un complesso sintomatologico, esito di una affezione organica prenatale (è il caso che si verifica ad esempio quando la madre prende la rosolia durante la gravidanza), natale (ad esempio un trauma durante il parto) o post natale (ad esempio una malattia degenerativa o comunque uno stato di infermità cronica). L’aspetto più importante sarebbe quindi quello biologico; pertanto si focalizza l’attenzione su qualcosa che va storto durante la gravidanza o quando il bambino nasce, e che provoca più in là nella vita un danno permanente.
Da un breve excursus storico emerge chiaramente come il disabile venisse visto come un diverso.
Nell’Antico testamento (Levitico, 21, 16-20), il Signore disse a Mosè: ‘Parla ad Aronne e digli: nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi a offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell’occhio o la scabbia o piaghe purulente o sia eunuco’.
Nel De Ira di Lucio Anneo Seneca leggiamo: ‘Soffochiamo i nati mostruosi, anche se fossero nostri figli. Se sono venuti al mondo deformi o minorati, dovremo annegarli. Ma non per cattiveria. Ma perché è ragionevole separare esseri umani sani da quelli inutili.’
Il Cristianesimo portò nuova dignità alla persona. Furono introdotti concetti religiosi come ‘pietas e caritas’. Ciò comportò qualche attenzione alle persone malate o deformi. Le deformità furono considerate prove o maledizioni divine per la famiglia.
I miracoli dei santi erano necessari per affrontare le deformità e le disabilità: venivano così guariti i paralitici, veniva restituita la vista ai ciechi, venivano liberati gli indemoniati.
Gli ospedali medievali nascono in ambito religioso e risentono di uno spirito di carità: vi vengono curati gratuitamente i poveri: Hotel-Dieu in Francia = Albergo di Dio.
Ma ancora la Santa Inquisizione decreta che le balie, le nutrici, le levatrici di neonati nati malformati fossero destinate al rogo insieme ai neonati, perché in combutta con le streghe.
Nel 1858 il naturalista inglese Charles Darwin pubblica ‘L’origine della specie’: afferma tra l’altro che i soggetti dotati di qualità superiori hanno maggiori probabilità di sopravvivere ed arrivare all’età adulta e riprodursi, trasmettendo i propri geni. Francis Galton, cugino di Darwin, arriva quindi a sostenere che è necessario mappare, isolare e proteggere i caratteri ereditari eccellenti. Da qui deriva il concetto di Eugenetica, che si sviluppa velocemente nel mondo occidentale, anche grazie alla nascita di numerose società scientifiche e riviste divulgative.
Mentre la Prima guerra mondiale incrementa numero di persone con disabilità (8.500.000 di reduci affetti) prendono piede culture e pratiche delle scienze eugenetiche, nei paesi scandinavi, negli USA e in Germania.
Con un decreto emesso il 18 agosto 1939, Adolf Hitler richiede ai medici e alle ostetriche di effettuare un censimento ‘scientifico’ delle malattie genetiche ed ereditarie. In un primo momento il programma riguarda solo i bambini con meno di 3 anni. I piccoli selezionati dal censimento vengono eliminati attraverso iniezioni di morfina o di scopolamina, per somministrazione di luminal o facendoli semplicemente morire di fame. Nel settembre dello stesso anno Hitler dà inizio il programma di eutanasia, battezzato Aktion T4: si scoprirà, da un documento del 1942, che le 70.273 cosiddette ‘disinfezioni’ (di cui 18.269 hanno avuto luogo nel castello di Hartheim) hanno fatto ‘risparmiare’ allo stato tedesco più di 885 milioni di marchi.
Solo nel dopoguerra i principi stabiliti con il Codice di Norimberga riconoscono la necessità del consenso volontario per le cure, il dovere di rispetto per il valore della vita umana ed il principio di responsabilità nell’ambito dell’attività medica, che sono ancora oggi sono alla base dell’etica medica.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, sancisce all’Articolo 1, che ‘Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.’
La Dichiarazione di Alma Ata dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1978 afferma il diritto e il dovere delle persone di partecipare individualmente e collettivamente alla progettazione e alla realizzazione dell’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno.
Sia la Costituzione della Repubblica Italiana che le normative regionali della Toscana riconoscono che il cittadino è titolare del diritto alla salute e soggetto attivo del percorso assistenziale.
La Legge Regionale 75/2017 costruisce un modello partecipativo dei cittadini al governo della sanità, basato su tre livelli: un livello macro (Consiglio dei cittadini per la salute), un livello meso (Comitati di partecipazione aziendali), un livello micro (Comitati di Zona-distretto/Società della Salute). Il sistema vuole garantire formazione e competenze dei cittadini, una capacità di confronto e comunicazione partecipata, il riconoscimento dei bisogni di salute, la verifica delle risposte e la percezione dei risultati ottenuti nel governo del sistema socio-sanitario.
Anche di questo si è parlato al convegno organizzato il 12 aprile presso la sede regionale della Croce Rossa, di cui abbiamo dato notizia in un precedente articolo .
La comunicazione è essenziale a tutti i livelli del sistema, per un buon funzionamento del quale servono in modo assoluto ‘Comprensione, Conoscenza, Memoria, Rispetto’.
Se questi presupposti verranno assicurati , si auspica che quella fragilità ‘volontaria’ che nasce dalla sfiducia e da un senso civico sbiadito, possa essere attenuata in una nuova alleanza tra chi deve garantire il diritto alla salute e i cittadini.