Giovani e stili di vita: serve un’alleanza globale
E’ cosa nota che l’adolescenza è una delicata fase della vita, nella quale si manifestano diversi comportamenti pericolosi per la salute, come fumare, abbandonare la dieta mediterranea, abusare di alcol o avere rapporti sessuali non protetti. Questo tema è stato affrontato in un recente congresso della Fimp – Federazione Italiana Medici Pediatri – e pubblicato su Sanità 24 Ore.
Difficile non essere d’accordo con quello che dicono i pediatri Fimp: “Contro gli stili di vita scorretti serve un’alleanza globale. Per questo”, si dice nell’articolo, “è necessario rafforzare l’alleanza tra pediatri, medici di medicina generale e specialisti clinici e garantire così la continuità di assistenza e di cura ai giovanissimi…”
Vero, ottimo, ma non basta: dobbiamo interrogarci sul perché i giovani siano spinti a certi stili di vita e chiederci se la medicalizzazione è il metodo efficace per contrastarli o correggerli.
I giovani manifestano disagi assai prima di avviarsi ad uno stile di vita per loro pericoloso, contagioso per i coetanei e destabilizzante poi per l’intero nucleo familiare.
E’ in questo senso, e dopo ampie riflessioni, che a Grosseto è stato avviato un progetto davvero “globale” per la prevenzione dei disagi giovanili. Un’esperienza unica e ricchissima!
A seguito di un progetto ministeriale, da poco concluso, capofila il Dipartimento di Salute Mentale di Grosseto con altre realtà territoriali italiane, è nato un gruppo di lavoro, chiamato “Punto di incontro”, che vede attivamente partecipi decine di associazioni che hanno a cuore il benessere dei giovani e lavorano per la prevenzione del loro disagio, sia esso sociale, sia psichico, sia affettivo, sia medico.
Il tavolo di lavoro, che si riunisce circa ogni 15 giorni, è condotto da psichiatri/psicologi del Dipartimento di Salute Mentale di Grosseto dell’azienda sanitaria ed è partecipato attivamente da associazioni di ogni tipo: da quelle sportive a quelle parrocchiali e di migranti, da insegnanti e operatori sociali, dai club alcologici territoriali alle associazioni di tutela dei diritti come Cittadinanzattiva.
Lo stile di vita “scorretto” di un ragazzo/a non è qualcosa che spunta all’improvviso, ci sono segnali premonitori che possiamo, anzi dobbiamo, saper riconoscere per intervenire prima che il disagio si sia rifugiato e rinchiuso in uno stile dannoso.
I giovani non possono essere ulteriormente delusi, lo sono già troppo da un mondo che ne parla tanto ma non li considera, e da una società che ha tolto loro il futuro e la gioia di costruirsi la vita da soli.
Il gruppo di Grosseto ha due grandi preziose qualità che lo tengono insieme e un obiettivo comune: l’umiltà e l’ascolto e l’interesse alla prevenzione della salute dei giovani.
C’è la volontà di imparare a conoscere i giovani, sforzandosi di ascoltarli e di parlare il loro linguaggio, di dare loro fiducia e senso del futuro, di creare supporti alle famiglie disorientate, di individuare chi ha già bisogno di aiuto indirizzandolo lì dove può trovare risposte adeguate.
Parliamo di un progetto che è partito da una piccola realtà, da “gente di buona volontà”, con tante esperienze diverse, che ha regalato agli altri la propria passione, il proprio tempo, oltre alla professionalità. Quello di Grosseto sta diventando, senza presunzione, un esempio di ricostruzione del senso di comunità, base necessaria ad affrontare la prevenzione e combattere gli stili di vita pericolosi.
I giovani sono felici di partecipare quando le iniziative le organizzano anche loro, e quando anche loro possono essere protagonisti!
Gli adulti, cercando di comprendere il disagio dei giovani… curano i propri disagi, a volte molto nascosti, spesso causa ed effetto insieme di un malessere sociale diffuso che certamente non aiuta i giovani.
Bene, in questa importante e bellissima esperienza di Grosseto gli specialisti clinici ci sono, sono gli esperti della Salute Mentale dell’azienda sanitaria di Grosseto. Non sono solo ‘specialisti’ ma persone ‘speciali’ che, con grande intelligenza, non hanno medicalizzato il progetto, non vogliono medicalizzare i giovani e neanche ‘fare lezione’ a noi adulti: vogliono imparare anche loro dal confronto con gli altri.
Non ci sono però i medici di medicina generale e mancano anche i pediatri: perché è così difficile avere la loro partecipazione? Eppure sarebbe fondamentale che nel concetto (e nelle azioni) di una ‘comunità’ ci fossero figure tanto significative e importanti come loro, figure di ‘riferimento’ soprattutto in territori extraurbani, dove i disagi sono maggiori.
Queste riflessioni vogliono essere solo un ennesimo invito a tutti i pediatri e ai medici di medicina generale: la loro presenza sarebbe utilissima anche a Grosseto, in un progetto che sta diventando un’esperienza pilota di comunità aperta e solidale e che arricchisce chi vi partecipa.
Poiché siamo convinti che non sempre il disagio giovanile nasce come problema medico, ma spesso lo diventa per trascuratezza della società a coglierne in tempo i segnali e che la salute è un prezioso bene comune a cui tutti devono collaborare, speriamo vivamente che l’appello dei pediatri della Fimp ad “un’alleanza globale”, che noi di Cittadinanzattiva raccogliamo volentieri, sia rivolto non solo ai “rappresentanti dei professionisti della salute” ma a tutti i cittadini, associazioni, educatori… sensibili al benessere sociale e alla prevenzione della salute dei giovani.