La legge 194 e l’obiezione di coscienza
La decisione di assumere al San Camillo di Roma medici dedicati all’interruzione di gravidanza ha suscitato ancora una volta grandi polemiche. Per contrastare l’enorme ricorso all’obiezione di coscienza che in molte regioni d’Italia rende sempre più difficile accedere all’aborto, alla fine a Roma, vincendo resistenze e ricorsi al Tar, è stato emanato un bando per assumere nelle prossime settimane due dirigenti-medici, che entreranno nell’équipe di interruzione volontaria di gravidanza dell’ospedale San Camillo-Forlanini, uno dei più grandi della Capitale, ma soprattutto punto di approdo (spesso ultimo) per migliaia di donne che arrivano da tutta la Regione.
Al di là dello specifico episodio romano, che domina le cronache di questi giorni, la legge 194 continua in molte parti d’Italia a trovare ostacoli nella sua applicazione.
Si torna continuamente a discutere di principi etici, religiosi, del diritto dei medici all’obiezione di coscienza, del fatto se i numeri del personale non obiettore siano adeguati a garantire il servizio di interruzione di gravidanza.
La legge 194 è una legge dello Stato. Pertanto deve essere applicata.
L’obiezione di coscienza non può essere un pretesto per ridurre i propri carichi di lavoro. Indubbiamente, molti anni fa, in fase di prima applicazione della legge che regola le interruzioni di gravidanza, è stato giusto prevedere l’eventualità che il personale dipendente ospedaliero potesse manifestare il diritto di obiezione. Ma oggi, perché si devono prevedere artifici legislativi o bandi di selezione ‘ah hoc’ per costringere i medici assunti a adempiere al loro lavoro istituzionale nell’ambito della 194?
Come se per ogni medico assunto nel SSN si dovesse specificare che egli ha il dovere di curare le persone per tutte le patologie che rientrano nel suo ambito di competenza, e così per infermieri e ostetriche, o comunque per tutto il personale del pubblico impiego: assegnare solo incarichi di responsabilità, prestigio e remunerazione elevata, e lasciare agli altri ciò che è fatica o non porta guadagno aggiuntivo. Questa è l’Italia che non ci piace.
Il diritto per le donne, e per i cittadini tutti, di essere assistiti deve essere la priorità assoluta, in modo equo e senza discriminazioni.
Sono e resto a strenua difesa dei diritti e della libertà individuale: se sei contro l’aborto, non puoi fare il ginecologo in una struttura pubblica, e rifiutarti di fare si che le donne che scelgono di interrompere la gravidanza possano farlo in condizioni di dignità e sicurezza, visto che c’è una legge che lo prevede…